La UE mette sul piatto un complesso di iniziative e norme che vogliono dare un nuovo deciso impulso all’ecosistema startup-scaleup del Vecchio Continente
“È tempo che l'Europa diventi una potenza delle startup. La nostra competitività e in definitiva la nostra prosperità dipendono da questo”: se avete già sentito una frase del genere, è perché è stata abbondantemente usata in molte analisi che la UE ha fatto del suo ecosistema startup. Che storicamente soffre di gap importanti rispetto alla metaforica Silicon Valley ma anche semplicemente al mondo startup del Regno Unito: due scenari dove per qualsiasi neo-azienda è molto più facile accedere a ricchi capitali ed anche a un mercato omogeneo con un gran numero di utenti finali.
La Commissione Europea non nasconde le difficoltà del Vecchio Continente nel far crescere startup e scaleup, tanto che ha identificato due “valli della morte” in cui le startup europee possono perdersi prima di crescere davvero. La prima si verifica quando le loro innovazioni non riescono a diventare prodotti commercializzabili, la seconda quando non riescono a “scalare” per diventare aziende più solide. Risultato: tra il 2008 e il 2021 quasi il 30% degli “unicorni” europei si è trasferito al di fuori dell'UE e solo l'8% delle scaleup globali ha sede in Europa. Non bene.
Così la UE ci prova – di nuovo – a diventare un luogo dove fare innovazione e crescere grazie ad essa non è troppo complicato. Lo fa con la nuova EU Startup and Scaleup Strategy, la quale cerca anche concettualmente di riprendere la filosofia della originaria Silicon Valley, puntando a un modello “più innovativo e imprenditoriale” in cui chi investe sia più disposto ad assumersi dei rischi e “il fallimento è visto come un passo necessario per il progresso”. Un cambio di rotta non da poco, considerando la pochissima propensione al rischio degli investitori europei.
In sostanza, quello che la UE vuole fare con la Startup and Scaleup Strategy è affrontare i principali punti deboli dello scenario europeo dell’innovazione, cercando di eliminare quelli che per scaleup e startup sono i principali ostacoli alla crescita. Ostacoli che per la UE si superano intervenendo in cinque ambiti: favorire genericamente lo sviluppo dell’innovazione, semplificare l’accesso ai capitali, supportare la crescita delle neo-aziende, attrarre i talenti tecnologici, facilitare l’accesso alle infrastrutture.
Quando afferma che intende creare un ambiente “innovation-friendly”, la Commissione Europea intende mettere in evidenza essenzialmente il fatto che, per una startup, è molto difficile muoversi in un mercato europeo che dovrebbe essere unico ma che in realtà è decisamente disomogeneo e in cui, inoltre, il peso amministrativo e di compliance è molto elevato. Critiche non nuove e che, non a caso, spesso vengono ribadite dai grandi nomi dell’ICT statunitense, che vorrebbero operare un mercato europeo molto più libero e deregolamentato. Quello che la Commissione Europea di fatto afferma oggi è che un po’ di deregulation va bene – entro certi limiti – ma solo per le startup.
Così la prima proposta della Commissione è un "ventottesimo regime" per le startup, ossia un regime normativo che non fa riferimento a quello dei 27 Stati UE ma è sovra-nazionale europeo ed a cui potranno aderire le neo-imprese. Questo regime dovrebbe semplificare i processi di creazione e sviluppo di una azienda, per aspetti come la tassazione, le leggi sul lavoro, il rischio di fallimento.
Accanto a questo regime comunitario opereranno altre norme ed azioni vecchie e nuove (European Innovation Act, EU Biotech Act, EU Bioeconomy Strategy, EU Life Science Strategy, Advanced Materials Act, Medical Devices Regulation, Omnibus Defence Simplification Package) mirate alla semplificazione dei processi e delle interazioni fra aziende, toccando temi come la creazione di identità e credenziali digitali per le imprese, la definizione di "sandbox" normative che permettano di testare liberamente nuove idee, l'idea che ogni Stato membro debba sempre valutare l'impatto sull'innovazione delle sue future leggi.
Anni di discorsi alati sull’innovazione non hanno cambiato un dato di fatto: per spingere i venture capital europei ad allargare i cordoni della borsa servono quasi sempre interventi del settore pubblico e, comunque, la gran parte degli investimenti che arrivano alle startup viene dalle banche. Inoltre, il ruolo degli investitori istituzionali è minimo e la difficoltà a recuperare fondi aumenta sensibilmente quando la startup coinvolta opera in ambiti “deep tech” o porta avanti attività ad alto rischio che richiedono capitali ingenti.
A dire il vero, in questo ambito la Commissione Europea e l'UE in generale non possono fare più di tanto: gli investimenti dei venture capital vanno dove viene percepita la maggiore probabilità di un ritorno. Quello che si può fare, con nuove iniziative e norme, è da un lato fare rete, dall'altro semplificare la vita a chi vuole investire capitali in Europa cercando, in questo, di favorire le parti oggi più svantaggiate dell'ecosistema europeo delle startup e scaleup.
In questo nuovo scenario, sempre "coordinato" dallo European Innovation Council, gioca un ruolo importante il futuro Scaleup Europe Fund, un fondo pensato in modo specifico per favorire le scaleup deep tech che operano in settori strategici per sovranità tecnologica europea. Con un occhio di riguardo - e non solo per questo fondo - alle aziende che operano nel settore Difesa, oggi sempre più importante.
Tra gli obiettivi delle future iniziative UE troviamo anche un maggiore coinvolgimento dei grandi investitori istituzionali (come ad esempio i fondi pensione), aiutare le neo-imprese a proteggere e sfruttare le loro proprietà intellettuali, favorire l'attività dei business angel europei, modificare le norme sugli aiuti di Stato per favorire maggiormente le startup, creare una European Corporate Network che faccia da collegamento solido tra le startup/scaleup e le grandi aziende europee (con l'obiettivo che le seconde scelgano il più possibile le prime per le loro strategie di innovazione).
Anche la migliore e meglio finanziata startup può poco se le sue idee innovative non si trasformano in un prodotto che abbia successo sul mercato. E che renda adeguatamente. Il tema di fondo è un po’ quello del trasferimento tecnologico “from lab to market”, ed è ben noto ed esteso. Ma – almeno in questa occasione – la Commissione Europea lo traguarda focalizzandosi sulla commercializzazione delle innovazioni che vengono sviluppate nelle Università. Che, secondo la UE, hanno un ruolo “cruciale” perché hanno già generato circa 157 mila spinoff e “producono” un decimo dei brevetti europei (di cui però solo un terzo viene sfruttato commercialmente).
Da queste constatazioni nasce in primo luogo la Lab to Unicorn Initiative. Per trasformare le idee da laboratorio in unicorni, la UE intende soprattutto favorire il dialogo fra i vari ecosistemi e hub di innovazione, in modo che startup e scaleup delle varie nazioni europee si favoriscano a vicenda scambiandosi servizi, soluzioni, tecnologie. Anche grazie a nuove norme che permetteranno alle Università e ai loro spinoff di gestire meglio le questioni legate a licenze e condivisioni di fatturati e royalty nell'avvio delle loro operazioni commerciali.
Altro filone di intervento: i prodotti e i servizi innovativi di startup e scaleup devono essere aiutati ad avere successo sul mercato. La Commissione Europea non può ovviamente imporre per legge che vengano acquistati, ma può agevolare la loro inclusione nei processi di procurement del settore pubblico dei vari Stati membri. Cercherà tra l'altro di farlo con una serie di norme che, ad esempio, riducono per le neo-aziende i requisiti dei bandi pubblici e favoriscono la selezione delle startup e scaleup europee nei bandi collegati alla Difesa e alla sicurezza.
Difficile far nascere e crescere le startup tecnologiche, e più in generale le aziende innovative, se non si hanno sul mercato abbastanza persone con le giuste competenze. È il motivo per cui c’è una gara molto accesa ad accaparrarsi i talenti migliori del momento, gara in cui le startup partono svantaggiate perché non possono competere economicamente con le aziende “classiche” già ben sviluppate. Per sbloccare questa situazione la Commissione Europa lancia la Blue Carpet Initiative: un programma che vuole aiutare le aziende europee ad attrarre talenti tecnologici provenienti da nazioni non-UE. Tanto che già nel nome si fa un riferimento indiretto alla Blue Card, ossia al “visto” privilegiato per i lavoratori non europei altamente qualificati.
La Blue Carpet Initiative è un complesso di interventi anche molto diversi fra loro, che spaziano dalle agevolazioni per le startup che intendono concedere stock option ai possibili problemi (criteri di tassazione, assistenza sociale...) per chi intende lavorare in remoto dall'estero, dalla Blue Card (e altre agevolazioni) per chi vuole fondare una startup in Europa a una Skills Portability Initiative che dovrebbe semplificare il riconoscimento delle qualifiche conseguite in nazioni non-UE.
Ma la Commissione “bacchetta” un po’ anche gli startupper europei, che solo raramente hanno alle spalle una vera preparazione strutturata - magari anche parziale, ma comunque ufficiale - in campo imprenditoriale. “È essenziale - spiega invece la Commissione - migliorare la formazione imprenditoriale, per garantire che gli studenti acquistino le competenze, la mentalità e la resilienza necessarie a innovare e creare posti di lavoro". Anche le Università devono fare la loro parte: i potenziali innovatori e startupper spesso "non hanno gli incentivi necessari" a diventare imprenditori perché le Università danno precedenza alle pubblicazioni scientifiche rispetto alla commercializzazione di nuove idee. I ricercatori universitari dovrebbero essere invece ricompensati per il loro apporto nella creazione di spinoff e nel trasferimento tecnologico.
Infine, c’è il nodo infrastrutture. Le startup hanno bisogno di infrastrutture tecnologiche che permettano di testare e validare rapidamente le loro innovazioni, perché il time-to-market è fondamentale nel mercato delle nuove tecnologie. La UE ha già in atto diverse iniziative - anche di funding - che dovrebbero aiutare in tal senso tanto le startup quanto le scaleup, ma è oggettivamente complicato accedervi e orientarsi nelle varie opzioni possibili. Qui serve, essenzialmente, semplificare le cose: la Commissione vuole farlo definendo una forma di accesso formalizzato e standardizzato con cui le imprese possono utilizzare le infrastrutture di ricerca, di supercomputing e di AI europee.
Questo si aggiunge a numerosi altri viaggi di alto profilo avvenuti nell’ultimo decennio, a dimostrazione che esiste un modo sostenibile per sviluppare razzi e far evolvere il settore spaziale.
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