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Fotovoltaico, ENEA testa film plastici per pannelli più efficienti e durevoli

Tra i tre materiali testati, la TPO (poliolefina termoplastica) è la più promettente e resistente ai raggi UV, mostrando un degrado minimo dello 0,2%.

Transizione Energetica / Sostenibilità

ENEA ha studiato e testato speciali film per celle fotovoltaiche, progettati per migliorare affidabilità e durabilità dei pannelli solari. Si tratta di materiali plastici incapsulanti a base di poliolefine che si distinguono per l’elevata trasparenza ai raggi UV, una caratteristica che consente di sfruttare l’intero spettro della radiazione solare e migliorare così la resa dei moduli fotovoltaici. I risultati dei test, condotti dal team del Laboratorio Dispositivi Innovativi del Centro Ricerche ENEA di Portici (Napoli), sono stati pubblicati sulla rivista scientifica internazionale Polymer Degradation and Stability.

Nei test comparativi, mini-dispositivi fotovoltaici rivestiti di diversi tipi di film sono stati sottoposti a un processo di invecchiamento accelerato al fine di rilevare segni di degradazione significativi e valutare durabilità e prestazioni elettriche delle celle. “Le analisi hanno evidenziato differenze marcate nella perdita di corrente di cortocircuito, ossia la massima corrente che il pannello può erogare quando è completamente esposto alla luce”, spiega Valeria Fiandra, ricercatrice del Laboratorio Dispositivi Innovativi del Dipartimento ENEA Tecnologie energetiche e fonti rinnovabili e coautrice dello studio. “Ad esempio – aggiunge – il dispositivo realizzato con il materiale ‘standard’ EVA (etilene vinil acetato) ha mostrato una perdita dell’1,4%, segnalando una degradazione più marcata rispetto a quello incapsulato con la POE (poliolefina elastomerica), che ha registrato una perdita leggermente inferiore, pari all’1,1%”.

Il risultato più promettente è stato ottenuto dalla TPO (poliolefina termoplastica), che ha evidenziato un degrado minimo (0,2%), confermandosi il più resistente all’esposizione ai raggi UV tra i tre materiali testati.

La TPO è una macromolecola termoplastica, cioè un materiale che può essere lavorato più volte senza subire alterazioni chimiche significative o degradazioni irreversibili della sua struttura. Può essere ammorbidito e fuso con il calore, e poi solidificato di nuovo mediante raffreddamento perché non forma legami chimici permanenti (niente reticolazione). Questa caratteristica lo rende riciclabile, a differenza dell’EVA che, una volta reticolato, non può essere riutilizzato.

La POE è costituita prevalentemente da atomi di carbonio e idrogeno, che le conferiscono una notevole stabilità chimica e termica, con una minore tendenza al degrado, allo scolorimento e alla perdita di trasparenza nelle condizioni operative reali. Non si deteriora facilmente in presenza di calore, luce solare o umidità.

EVA è l’incapsulante più comunemente utilizzato nella fabbricazione dei pannelli solari grazie alla sua elevata trasparenza, buona resistenza alla radiazione UV, eccellente adesione al vetro e alle celle solari e al basso tasso di trasmissione del vapore acqueo. Tuttavia, la presenza del gruppo acetato nella sua struttura molecolare – assente negli altri due materiali analizzati – rappresenta un punto debole: durante l’invecchiamento, infatti, porta alla formazione di acido acetico, con effetti negativi quali corrosione dei componenti metallici, propagazione del degrado e, soprattutto, una progressiva riduzione dell’efficienza dei pannelli solari.

“Sebbene gli incapsulanti a base di poliolefine siano già disponibili sul mercato da alcuni anni, mancavano finora verifiche sperimentali sul loro comportamento a lungo termine all’interno di moduli fotovoltaici reali. In effetti, formulare un materiale che sia al tempo stesso trasparente ai raggi UV e resistente alla degradazione chimica rappresenta una sfida complessa, sia per la comunità scientifica che per l’industria”, sottolinea la ricercatrice ENEA.

Oggi, per prevenire l’invecchiamento e il degrado delle celle fotovoltaiche e dei materiali di rivestimento, gli incapsulanti sono progettati per filtrare i raggi UV della luce solare prima che raggiungano le celle. Nella loro formulazione vengono infatti aggiunti agenti assorbenti, i raggi UV ed antiossidanti, che migliorano significativamente la stabilità dei film incapsulanti nei confronti della radiazione ultravioletta che è presente sempre, anche durante giornate nuvolose o nebbiose. Tuttavia, questo approccio presenta un rovescio della medaglia: la minore quantità di luce UV che raggiunge le celle si traduce in una riduzione della potenza generata dal modulo. Negli ultimi anni, i progressi tecnologici nella formulazione degli incapsulanti hanno portato allo sviluppo di moduli fotovoltaici più efficienti nella generazione di energia. Sono stati infatti messi a punto incapsulanti che combinano alta trasparenza ai raggi UV e maggiore resistenza alla radiazione ultravioletta, contribuendo così a migliorare le prestazioni complessive dei moduli. I produttori stanno quindi concentrando sempre più l’attenzione sulla formulazione specifica degli incapsulanti, per ottenere materiali stabili alla degradazione e nello stesso tempo trasparenti all’UV per far sì che il modulo mantenga alte e costanti nel tempo le sue prestazioni ed abbia un’efficienza rispetto agli incapsulanti tradizionali e una durata maggiori, oltre i 25 anni.

“Questo lavoro contribuisce a fornire alle aziende del settore informazioni utili per la selezione di materiali di incapsulamento per la progettazione di moduli fotovoltaici durevoli e affidabili, evidenziando vantaggi e svantaggi dell’utilizzo dei nuovi materiali plastici altamente trasparenti ai raggi UV, rispetto alle prestazioni dell’EVA. Inoltre, si propone di fornire ai produttori di materiali per l’incapsulamento delle celle fotovoltaiche informazioni sul comportamento simulato in campo dei loro prodotti, al fine di intervenire in modo mirato sulla formulazione specifica del materiale plastico per migliorarne le prestazioni ottiche e la stabilità chimica”, conclude Valeria Fiandra.

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