: "Sovranità dei dati: perché conta davvero" La sovranità secondo Aruba.it
Team di ricercatori dello Scripps Research Translational Institute (La Jolla, CA, USA) composto anche da Alumni dell’Università di Padova rivela come i sensori indossabili e l'intelligenza artificiale potrebbero trasformare il modo in cui rileviamo e gestiamo il prediabete.
Per diagnosticare il diabete di tipo 2 o il prediabete, i medici si affidano generalmente a un valore di laboratorio noto come HbA1c. Questo test misura i livelli medi di glucosio nel sangue di una persona negli ultimi mesi. Tuttavia, l’HbA1c non è in grado di prevedere chi è a maggior rischio di passare da uno stato di salute al prediabete, o dal prediabete al diabete conclamato.
Provengono dall’Università di Padova diversi autori dello studio, pubblicato su «Nature Medicine» che, grazie a un nuovo modello che utilizza i dati dei monitor glicemici continui (CGM) insieme a informazioni sul microbioma intestinale, la dieta, l’attività fisica e la genetica, è in grado di rilevare i primi segnali di rischio di diabete che i test standard HbA1c potrebbero non individuare.
Mattia Carletti, il primo autore, Matteo Gadaleta, responsabile del processamento dei dati, e Giorgio Quer, co-autore senior e corrispondente, hanno portato avanti lo studio presso Scripps Research. Riccardo Miotto lavora presso Tempus AI, lo sponsor dello studio, e ha gestito la collaborazione. Tutti e quattro vengono dall’Università di Padova, dove hanno completato il dottorato presso il dipartimento di Ingegneria dell’Informazione. In questo studio hanno scoperto che l’intelligenza artificiale può utilizzare una combinazione di altri dati — inclusi i livelli di glucosio in tempo reale monitorati da dispositivi indossabili — per offrire una visione più precisa del rischio di diabete. «Abbiamo dimostrato che due persone con lo stesso valore di HbA1c possono avere profili di rischio sottostanti molto diversi - afferma Giorgio Quer, direttore di Intelligenza artificiale e professore associato di Medicina Digitale presso Scripps Research -. Analizzando più dati, ovvero quanto tempo impiegano i picchi glicemici a rientrare, cosa succede al glucosio durante la notte, qual è l’apporto alimentare e persino cosa accade nell’intestino, possiamo iniziare a distinguere chi è su una traiettoria rapida verso il diabete e chi no.»
«L’obiettivo finale di questo lavoro è comprendere meglio cosa guida la progressione del diabete e come possiamo intervenire precocemente in ambito clinico» aggiunge Ed Ramos, co-autore corrispondente e direttore dei trial clinici digitali presso Scripps Research.
Sebbene alcune variazioni nei livelli di zucchero nel sangue siano del tutto normali, soprattutto dopo i pasti, picchi frequenti o accentuati possono indicare che l’organismo fatica a gestire lo zucchero in modo efficace. Nelle persone sane, la glicemia tende ad aumentare e diminuire in modo regolare. Ma in chi è a rischio di diabete, questi picchi possono essere più marcati, più frequenti e più lenti a rientrare, anche prima che test di laboratorio di routine come l’HbA1c rilevino un problema. Il nuovo studio dimostra che monitorare queste dinamiche quotidiane fornisce una visione molto più dettagliata della salute metabolica di una persona e potrebbe aiutare a identificare i segnali d’allarme più precocemente. I risultati provengono da un programma di ricerca digitale pluriennale chiamato PRediction Of Glycemic RESponse Study, o PROGRESS.
Lo studio ha utilizzato i social media per reclutare oltre 1.000 persone da tutti gli Stati Uniti in un trial clinico completamente remoto. I partecipanti includevano persone con diagnosi di prediabete o diabete, così come individui sani. Per dieci giorni, hanno indossato un dispositivo CGM Dexcom G6, registrato i pasti, monitorando attivita’ fisica, sonno e battito cardiaco con uno smartwatch, e inviato campioni di sangue, saliva e feci per le analisi. I ricercatori avevano anche accesso alle cartelle cliniche elettroniche dei partecipanti, contenenti valori di laboratorio passati e diagnosi effettuate da professionisti sanitari. Il lavoro costituisce un vero e proprio sforzo pionieristico nel campo dei trial clinici remoti: si è infatti progettato un programma di monitoraggio gestito in autonomia dai partecipanti, a partire dall’applicazione dei sensori fino alla raccolta e spedizione dei campioni biologici, senza mai visitare una clinica.
Utilizzando questi dati, i ricercatori hanno addestrato un modello di intelligenza artificiale per distinguere tra persone con diabete di tipo 2 e individui sani. Uno dei segnali più chiari di rischio di diabete individuati è stato il tempo necessario affinché un picco glicemico rientri ai valori normali. Nelle persone con diabete di tipo 2, spesso servivano 100 minuti o più affinché la glicemia si abbassasse dopo un picco, mentre negli individui sani tornava ai valori di base molto più rapidamente.
Lo studio ha anche scoperto che un microbioma intestinale più diversificato e un livello di attività fisica più elevato erano associati a un migliore controllo glicemico, mentre una frequenza cardiaca a riposo più alta era legata al diabete.
«È importante notare che il modello di IA non ha rilevato solo il rischio nelle persone con HbA1c già elevato – spiega Mattia Carletti, postdoc allo Scripps Research durante lo studio, ora ricercatore ad Oxford University, UK -. Quando questo modello è stato applicato a individui prediabetici, ha mostrato infatti che alcuni avevano profili metabolici simili a quelli dei diabetici, mentre altri assomigliavano a individui sani, pur avendo valori di laboratorio simili. Questo livello di dettaglio potrebbe aiutare i medici a personalizzare i trattamenti, concentrandosi su cambiamenti dello stile di vita o terapie precoci per i pazienti con rischio più elevato di progressione della malattia.»
Sebbene lo studio attuale fornisca solo di fatto un’istantanea nel tempo, i ricercatori continueranno a seguire i partecipanti per verificare se le previsioni del modello si traducono in una reale progressione clinica della malattia. Hanno anche validato il modello utilizzando un set indipendente di dati provenienti da pazienti in Israele (Weitzman Institute), rafforzandone il potenziale utilizzo clinico su larga scala.
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