: "I rischi del lock-in" La sovranità secondo Aruba.it
Il 51% delle startup utilizza l'AI analitica, il 41% Generative AI. Ma tra gli operatori finanziari prevale cautela: il 93% dei progetti di intelligenza artificiale punta a mantenere basso il rischio per il proprio istituto.
Il settore italiano del Fintech e Insurtech vive una fase di consolidamento e maturità. A fine 2025, secondo la ricerca dell’Osservatorio Fintech & Insurtech del Politecnico di Milano, si contano 485 startup attive, in diminuzione rispetto alle 596 del 2024, tra qualche nuova apertura, alcune chiusure e numerose M&A.
Inoltre, nei primi dieci mesi dell’anno le Fintech e Insurtech hanno raccolto complessivamente 202 milioni di euro tra equity e strumenti convertibili, evidenziando un calo del 19% rispetto ai 250 milioni del 2024. Ma le realtà esistenti rafforzano la propria posizione: ricavi in crescita, maggiore solidità finanziaria e migliore capacità di adattamento all’evoluzione competitiva.
Crescono amche i ricavi: il valore mediano previsto per il 2025 è 700.000 euro, in netto aumento rispetto ai 500.000 euro del 2024 (+29%) e ai 350.000 euro del 2023 (+50%). E si conferma la profittabilità: il 46% ha già raggiunto il break-even, in linea con il 44% del 2024. Però la principale sfida per la crescita per le startup italiane Fintech e Insurtech è nel trovare il funding (per il 44% delle realtà). Il 42% è in fase di ricerca attiva di capitale, ma il mercato è fortemente polarizzato. Da un lato, il 9% ricerca grandi round, superiori ai 5 milioni di euro, per rafforzare la crescita, e in prospettiva diventare unicorno. Dall’altro, la maggioranza (il 63%) punta a chiuderne quanto prima uno di taglia piccola (meno di 2 milioni) per completare lo sviluppo del prodotto e rafforzare gli sforzi commerciali.
Il sentiment è positivo: il 62% delle startup italiane guarda con ottimismo ai prossimi 12 mesi e il 73% ai prossimi tre anni. Oggi il Fintech & Insurtech è un mercato ancora "italo-centrico": solo il 32% serve almeno un altro Paese europeo, e solo il 2% dei ricavi è realizzato fuori dall’Italia. L’internazionalizzazione è considerata un driver strategico: il 79% delle startup intende aprire anche all’estero in futuro.
Nel settore si afferma l’intelligenza artificiale (AI), ormai centrale per elaborare rapidamente grandi volumi di dati: il 51% delle startup Fintech & Insurtech italiane usa l’AI di tipo analitico, strettamente legata a soluzioni come Machine Learning e Big Data Analytics, e il 41% Generative AI. Anche gli operatori finanziari adottano e sperimentano, ma al momento tra loro prevale ancora un approccio prudente nelle sperimentazioni dell’AI.
Insurtech: Analizzando le sole realtà dell’Insurtech italiano,sono 78 le startup censite nel 2025 (in leggero calo dalle 86 del 2024), con una raccolta complessiva di 28,5 milioni di euro (-18% rispetto allo scorso anno). I ricavi mediani sono pari a 700.000 euro (320.000 nel 2024) e il 43% delle realtà ha già raggiunto il break-even. Il funding è la principale sfida per la crescita (evidenziata dal 55% delle startup) e il 42% è attivamente in fase di ricerca di capitali. Solo il 14% delle startup punta a round tra 5 e 10 milioni di euro, il resto per valori inferiori. Scenario complessivamente in linea con il resto del Fintech italiano.
L’intelligenza artificiale: l’AI è oggi centrale nel Fintech e Insurtech: permette di elaborare rapidamente grandi volumi di dati, con effetti su tutti i processi, offrendo strumenti analitici per la gestione del rischio. Su 147 iniziative di AI negli ultimi due anni in operatori finanziari a livello mondiale si segnalano in particolare progetti di Generative AI (57%), ibridi tra analitica e generativa (13%), AI analitica (26%) e alcuni primi esperimenti di Agentic AI (8%). Ma tra gli operatori finanziari ad oggi prevale ancora la cautela.
Il 93% dei progetti è improntato a mantenere basso il rischio per l’istituto finanziario: non interviene sull’organizzazione infrastrutturale e sulla sicurezza dei dati, ha un impatto limitato su processi e struttura aziendale, sul conto economico e sul profilo reputazionale e legale. La maggior parte (66%) punta a risultati a breve termine: è “chiavi in mano”, con impatti immediatamente misurabili e facilmente comunicabili.
La gamification: Gli sforzi degli operatori finanziari per restare competitivi fanno emergere nuove modalità di engagement con la clientela. Si diffonde la “gamification”: l’applicazione di sfide, classifiche e dinamiche tipiche del game design per stimolare il coinvolgimento, orientare il comportamento e generare partecipazione attiva verso i servizi finanziari. Dall’analisi di oltre 30 iniziative di gamification promosse da startup e operatori tradizionali in finanza emergono applicazioni come premi per comportamenti virtuosi, challenge universitarie, waiting list, e attività di educazione finanziaria interattiva per l’acquisizione e il coinvolgimento dei clienti.
Nel 70% dei casi sono usate delle mission, obiettivi specifici che guidano l'utente in percorsi strutturati; nel 67% rewarde incentivi economici, come cashback o buoni; nel 58% i point, unità virtuali accumulate tramite attività, transazioni o quiz di educazione finanziaria. L'utilizzo in ambito investimenti solleva però alcune criticità, come il rischio "gamblification”, cioè di trasformare l'investimento in un'attività percepita come gioco, riducendo la consapevolezza dei rischi. Inoltre, pratiche di nudgingaggressivo, come l'uso di animazioni celebrative al momento di un'operazione, possono instradare le scelte dell'utente, spingendolo verso decisioni non adeguate al profilo di rischio.
I finfluencer: In Italia avanza il fenomeno dei “finfluencer”, creator digitali che si occupano di temi finanziari, dagli investimenti, alla scelta della carta di credito, fino alle polizze assicurative. L’Osservatorio ha identificato 48 creator italiani di contenuti finanziari, principalmente su Instagram, ma anche su YouTube e TikTok e altre piattaforme social, che trattano principalmente tematiche legate ad investimenti (66%), trading (34%), finanza personale (26%), educazione finanziaria (24%), oltre che lifestyle, fiscalità e previdenza. I 15 profili con il maggiore numero di follower su YouTube in Italia hanno prodotto, 2,17 miliardi di visualizzazioni con 33.949 video postati, dimostrando una notevole capacità di raggiungere e ingaggiare gli utenti.
Il 70% dei finfluencer ha un’istruzione in area economica, ma la maggioranza (7 su 10) è priva di iscrizione all’albo dei consulenti finanziari. L’età media è di 46 anni, con 14 spesi nel settore finanziario e 10 da content creator. Il 70% si autodefinisce “finfluencer”, il 30% non ritiene che il termine abbia senso o non lo fa come attività principale. I contenuti vengono monetizzati con sponsorizzazioni o affiliazioni (40% dei casi) o vendita di prodotti o consulenze. Questi creator sono in grado di ampliare l’accesso alle informazioni finanziarie, promuovere il coinvolgimento degli utenti e, in generale, contribuire all’educazione finanziaria. Ma aprono alcuni punti di riflessione: molti non hanno qualifiche formali o certificazioni; potrebbero promuovere prodotti rischiosi, inadeguati o non appropriati. Gli intermediari finanziari interessati a collaborare devono prestare particolare cautela nella selezione dei profili con cui interagire.
Le PMI attribuiscono maggior valore a poche e specifiche caratteristiche dell’offerta finanziaria. Tra le qualità più apprezzate in una banca ci sono sicurezza e solidità (27%), consulenza personalizzata in caso di problemi (26%) e trasparenza nelle condizioni (20%). E il quadro è simile per le assicurazioni: le qualità più riconosciute sono trasparenza nelle condizioni (26%), prodotti ad hoc per le imprese (23%) e consulenza personalizzata (23%). La vera differenziazione competitiva passa da servizi personalizzati, come consulenza per la crescita, M&A e passaggi generazionali, soluzioni legate a ESG o offerte verticali per specifici settori.
Si diffonde l’idea tra gli operatori finanziari di offrire ecosistemi di servizi per le PMI. L’interesse delle PMI è maggiore se i servizi sono legati all’ambito finanziario (es. sottoscrizione di nuove carte aziendali (25%), supporto alla contabilità (25%), sottoscrizione di polizze assicurative (22%), mentre è limitato l’interesse verso altri servizi (es. promozione di software gestionali (5%) o supporto per trovare nuovo personale (4%)
Il mercato è ancora guidato dagli operatori tradizionali: la maggioranza delle PMI vi fa riferimento per i prestiti a breve termine (81%) e polizze assicurative (76%), anche se una quota rilevante preferirebbe non ricorrervi più (14% per i prestiti, 12% per le assicurazioni). Diverse PMI hanno sperimentato attori innovativi (39% challenger bank, 32% assicurazioni innovative), ma poche continuerebbero a utilizzarli (rispettivamente 19% e 18%) per un’offerta ancora incompleta. Diverse PMI sono interessate a sperimentare soluzioni di challenger bank (40%) e assicurazioni innovative (38%), pur non avendole provate.
Sul piano digitale, l’offerta è spesso limitata. Il canale è proposto soprattutto da challenger bank, mentre gli operatori tradizionali lo usano più per promuovere servizi poi disponibili in filiale. La maggior parte dei servizi attivabili dall’app o dall’area riservata sono circoscritti a operazioni transazionali, come bonifici o pagamenti. Guardando al futuro, in ambito bancario le PMI desiderano convenienza economica dei prodotti (26%), velocità di risposta della banca (21%) e possibilità di consulenza personalizzata in caso di problemi (20%), solo poche una valida offerta di servizi digitali (8%). Sono simili le priorità nelle assicurazioni: convenienza economica (24%), velocità di liquidazione dei sinistri (17%) e prodotti assicurativi per l’impresa (17%). Una valida offerta di servizi digitali è ancora poco sentita (6%), forse anche per la qualità e la limitatezza dell’offerta attuale.
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