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L'AI non è la nuova bolla finanziaria, ma i rischi non mancano

Lo afferma il vicepresidente della Federal Reserve, Philip N. Jefferson, sottolineando come i parallelismi con la bolla delle dot-com di fine anni novanta, si fermano in superficie.

Intelligenza Artificiale

La corsa dell'intelligenza artificiale (AI) ricorda per molti l'euforia tecnologica a fine anni '90, ma per il vicepresidente della Federal Reserve, Philip N. Jefferson, i parallelismi con la "bolla delle dot-com" non sono perfettamente aderenti. "Ci sono importanti differenze tra il periodo attuale e il boom di fine anni Novanta" ha dichiarato l'esponente della Fed, sottolineando che i mercati stanno reagendo al boom dell'intelligenza artificiale "in modo più concentrato, selettivo e fondato sui fondamentali".

Jefferson ha però riconosciuto un elemento comune tra le due situazioni, quella attuale e quella di venticinque nni fa: "La rapida crescita dei prezzi azionari delle imprese che guidano la la promessa di tecnologie rivoluzionarie".

Anche durante la bolla delle dot-com, ha ricordato, "le valutazioni dei titoli dot-com aumentarono di oltre il 200% tra il 1996 e il 1999". Un ritmo paragonabile, ma non identico, a quello delle società che sono al centro della trasformazione AI dal 2022.

Le differenze però sono decisive. "Allora molte aziende dot-com avevano utili scarsi o inesistenti e modelli di business altamente speculativi", ha precisato. Nella realtà attuale, al contrario, "le imprese più strettamente associate all'AI hanno flussi di utili solidi e in crescita". Questo si riflette nei multipli: "I rapporti prezzo-utili delle società AI restano ben al di sotto dei picchi registrati durante la bolla Internet", ha affermato Jefferson, evidenziando come gli investitori oggi sembrino meno inclini a "scommesse indiscriminate".

Un'altra differenza riguarda il numero di attori. "Alla fine degli anni '90 più di 1.000 aziende erano quotate come dot-com, molte con ricavi minimi", ha ricordato. "Oggi parliamo di circa 50 società pubbliche considerate AI-focused", un segnale di maggiore selettività del mercato. All'epoca, ha aggiunto, "bastava aggiungere ‘dot-com' al nome di un'azienda per far salire il titolo", mentre ora gli investitori appaiono più discriminanti, anche se "nei mercati privati sta crescendo il numero di imprese che si definiscono AI-native".

Similitudini quando si parla di leva finanziaria


Sul fronte della leva finanziaria emergono però somiglianze potenzialmente insidiose. Jefferson ha ricordato che sia nella fase dot-com, sia in quella attuale l'indebitamento delle società tech era limitato, ma ha sottolineato che "le imprese AI stanno aumentando l'uso del debito per finanziare la realizzazione dei nuovi data center", e che investimenti futuri potrebbero richiedere "molta più leva", amplificando le perdite in caso di inversione del sentiment. "Le differenze oggi rendono meno probabile una replica degli anni '90", ha concluso Jefferson, "ma l'evoluzione dell'AI resta incerta e la stabilità finanziaria va monitorata con grande attenzione".

Sul tema del versante macro-economico, Jefferson ha ricordato che l'AI sta già modificando i dati occupazionali: "l'AI consente ai lavoratori di completare in pochi secondi compiti che prima richiedevano ore", aumentando la produttività e potenzialmente la crescita, ma con effetti occupazionali ancora incerti. Alcune imprese stanno riducendo le assunzioni e i lavoratori più giovani potrebbero subire l'impatto più duro. Sul piano dei prezzi, ha osservato che una produttività più alta potrebbe "ridurre i costi di produzione e mettere pressione al ribasso sui prezzi", anche se la crescente domanda di data center, energia e competenze specializzate potrebbe esercitare spinte opposte.

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