L’Alzheimer è la forma più comune di demenza senile e rappresenta una crescente emergenza sanitaria globale. In Italia colpisce circa il 5% degli over 60 e, secondo il Rapporto Mondiale Alzheimer 2015, nel mondo si contano oltre 46,8 milioni di persone affette da una forma di demenza.
Un approccio non invasivo di ultima generazione per diagnosticare precocemente la malattia di Alzheimer, migliorando la gestione della patologia e la qualità di vita dei pazienti. È quanto è stato brevettato dal Laboratorio di Biotecnologie RED dell’ENEA nell’ambito del Piano Nazionale della Ricerca 2021–2027. Il prossimo passo sarà quello di sviluppare un test non invasivo e a basso costo.
La ricerca ha identificato nelle feci nuovi biomarcatori capaci di fornire una diagnosi precoce e una prognosi più adeguata, utilizzando un approccio multidisciplinare della biologia molecolare e avvalendosi di un modello che riproduce le fasi della malattia osservate nell’uomo.
“È ormai ampiamente dimostrata l’esistenza di una stretta relazione tra la composizione del microbiota intestinale e lo sviluppo di patologie neurodegenerative, incluso l’Alzheimer. In particolare, stati di disbiosi intestinale sono stati associati ad un aumento del rischio di sviluppare la malattia”, spiega la referente del team ENEA Roberta Vitali, ricercatrice del Laboratorio di Biotecnologie RED. “Partendo dall’ipotesi che le alterazioni del microbiota possano tradursi in modificazioni molecolari rilevabili nel campione fecale – prosegue - abbiamo proposto le feci come matrice per lo screening di biomarcatori per l’Alzheimer. La nostra ipotesi è stata che specifici microRNA e proteine presenti nelle feci possano fungere da marcatori di malattia”.
Il panel delle molecole identificate è stato brevettato e una selezione dei microRNA e delle proteine identificate è stata validata su campioni fecali nei diversi stadi della patologia. I risultati hanno confermato che tali molecole sono modulate in specifiche fasi della patologia o in correlazione alla sua progressione, costituendo quindi promettenti biomarcatori per diagnosi e prognosi.
“L’analisi di questi biomarcatori fecali nella matrice ottenuta da pazienti porrà le basi per sviluppare metodi sostenibili diagnostici e ripetibili nel tempo, di offrire una diagnosi precoce più accessibile aumentando l’efficacia delle eventuali terapie, di ridurre i costi rispetto ai metodi invasivi come il prelievo di liquido cerebrospinale e contribuirà in modo significativo al controllo di questa patologia ad alto impatto socio-sanitario”, conclude Vitali.
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