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L'Italia si conferma il terzo produttore mondiale di pomodoro lavorato con 5,3 milioni di tonnellate nel 2024, in un mercato globale da 50,9 milioni di tonnellate guidato da Cina (11,5 milioni) e Stati Uniti (11,3 milioni).
ENEA e Università di Salerno hanno individuato tecnologie più efficienti per la pelatura industriale dei pomodori, in grado di abbattere i consumi di energia termica fino al 50%. La ricerca è stata condotta in un’azienda in provincia di Salerno che lavora circa 60 mila tonnellate di pomodori all’anno e i risultati sono stati pubblicati sulla rivista Sustainabiliy. Si tratta di una valutazione comparativa degli impatti energetici, economici e ambientali tra i metodi di pelatura tradizionali e tre tecnologie innovative come infrarossi, ultrasuoni e riscaldamento ohmico.
“Nell’industria di trasformazione del pomodoro, le tecniche di pelatura più diffuse sono ancora quelle a vapore e con liscivia, apprezzate per la loro efficienza operativa e la facilità di utilizzo nei medi e grandi impianti”, spiega Giovanni Landi, ricercatore del Laboratorio ENEA Soluzioni integrate per l’efficienza energetica e coautore dello studio insieme alla collega Miriam Benedetti e a Gianpiero Pataro ed Elham Eslami del Dipartimento di Ingegneria Industriale dell’Università di Salerno.
Sebbene la pelatura a vapore rappresenti un’alternativa più ecologica rispetto a quella chimica, può produrre frutti più molli, con minore consistenza e maggiore perdita di prodotto (15% rispetto al 13,6%). Inoltre, entrambi i metodi comportano un elevato consumo di energia e di acqua e generano ingenti volumi di acque reflue che, nel caso della pelatura chimica, sono anche inquinate.
“Per rispondere a queste criticità - prosegue Landi - la ricerca si sta orientando verso tecniche di pelatura innovative e sostenibili capaci di migliorare l’efficienza, la resa e la qualità del prodotto e ridurre al minimo sprechi e impatto ambientale. Le soluzioni che proponiamo in questo studio rappresentano valide alternative o ‘complementi’ alle tecniche tradizionali, aprendo la strada a una trasformazione dell’industria agroalimentare più efficiente e sostenibile”.
Dallo studio emerge che l’adozione dei nuovi metodi di pelatura migliora il grado di ‘pelabilità’ dei pomodori con un aumento della capacità produttiva (2,6-9,2%) e una riduzione dello scarto (16%-52%) rispetto alle tecniche tradizionali. Sul fronte ambientale la pelatura mediante tecnologia ad infrarosso (IR), detta anche “pelatura a secco”, risulta il metodo più ecocompatibile perché riduce l’uso di energia elettrica e termica, grazie alle radiazioni infrarosse che riscaldano rapidamente la superficie del prodotto, favorendo il distacco della buccia senza ricorrere all’uso di acqua o sostanze chimiche. Questo trattamento evita la produzione di acque reflue e risulta più veloce, meno dispendioso e con un ridotto spreco di pomodoro (9,8%).
“Nonostante i chiari vantaggi economici e ambientali derivanti dall’adozione delle nuove tecnologie di pelatura, persistono criticità legate al controllo di parametri fondamentali come la temperatura dell’emettitore IR, la distanza tra il prodotto e la sorgente di calore e il tempo di esposizione”, sottolinea Landi.
L’industria della trasformazione del pomodoro riveste un ruolo strategico nel settore agroalimentare a livello globale. Nel 2024, la produzione mondiale di pomodori lavorati ha raggiunto i 50,9 milioni di tonnellate, con Cina (11,5 milioni di tonnellate), Stati Uniti (11,3 milioni) e Italia (5,3 milioni) come principali produttori. Tra i derivati del pomodoro, il mercato globale dei pomodori pelati in scatola (interi, a cubetti) è stato valutato 4 miliardi di dollari nel 2022, con una previsione di crescita fino a 6,8 miliardi entro il 2032.
“In un mercato italiano e internazionale di queste dimensioni, i potenziali benefici derivanti dall’adozione di questi nuovi metodi di pelatura possono incentivare le aziende di trasformazione del pomodoro a valutare soluzioni tecnologiche più efficienti e sostenibili. Tuttavia, l’introduzione su scala industriale richiede un’attenta valutazione di costi iniziali, complessità operative e benefici nel lungo periodo. Per questo riteniamo che siano necessari ulteriori studi per ottimizzare tali tecnologie in ambito industriale, valutare la fattibilità tecnica ed economica di ciascuna soluzione, confrontarne i costi con i potenziali risparmi ottenibili e stimare i tempi di ritorno dell’investimento”, conclude Landi.
Le città “full digital” sono Bergamo, Bologna, Brescia, Cagliari, Firenze, Genova, Milano, Modena, Parma, Prato, Rimini, Roma Capitale, Siena, Torino, Trento e Venezia.
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