Osservatorio Startup Thinking & Digital Academy PoliMi: 86% grandi imprese italiane fa open innovation

Secondo l'Osservatorio del PoliMi l’Intelligenza Artificiale sale al secondo posto nelle aree di investimento Ict per il prossimo anno, preceduta da Cybersecurity. Seguono Big Data e Cloud. Per il 44% delle imprese la mancanza di risorse è il principale freno alla trasformazione digitale.

Autore: Redazione InnovationCity

In un quadro di espansione modesta dell’economia, in cui il Pil mostra prospettive di crescita dello 0,5% nel 2025 e dello 0,6% nel 2026, in Italia gli investimenti in innovazione digitale proseguono la loro crescita con un andamento confortante che però non rappresenta ancora una svolta decisiva. Nel 2026 il budget ICT delle imprese italiane crescerà dell’1,8% rispetto al 2025, in linea con il trend degli ultimi dieci anni.

Per il terzo anno consecutivo, un importante contributo alla crescita degli investimenti digitali viene dalle piccole (+3,3%) e dalle medie imprese italiane (+5,2%), spinte dalle azioni del PNRR.

Sono alcuni dei risultati della ricerca degli OsservatoriStartup ThinkingeDigital Transformation Academydel Politecnico di Milano. Tra le imprese italiane sembra ormai esserci piena coscienza dell’importanza del ruolo del digitale per la competitività e lo sviluppo, mentre la diffusione dell’Intelligenza Artificiale sta creando grande entusiasmo, ma questo non coincide ancora con adeguata capacità economica per gli investimenti in ICT: il 44% delle imprese individua nelle scarse risorse economiche il principale ostacolo all’innovazione.

Tra le grandi aziende, al primo posto nelle priorità di investimento in digitale si conferma ancora una volta la cybersecurity (indicata dal 65% delle imprese), ma quest’anno al secondo posto sale l’Intelligenza Artificiale (57%), che con le sue declinazioni di Generative AI e Agentic AI è sempre più di interesse in tutti i settori.

Seguono poi Big Data Management - Business Intelligence (49%) e Cloud migration e governance (35%). Tra le PMI, invece, le principali aree di investimento sono sicurezza informatica (45%), Industria 4.0 (37%), Cloud (32%) e ERP (30%).

La maggior parte delle grandi imprese (86%) ha avviato iniziative di Open Innovation, con una percentuale stabile negli ultimi anni che potrebbe indicare il raggiungimento di un plateau. In prevalenza si tratta di attivitàinbound, come collaborazioni con università e centri di ricerca, scouting di startup e partecipazione a call4ideas o contest, mentre quelleoutboundsono meno sviluppate. Nonostante l’Open innovation sia ormai pratica comune, non si traduce ancora in un consolidamento dei risultati generati.

“Tra le imprese e le startup italiane è ormai diffusa la consapevolezza di dover affrontare la trasformazione digitale in modo pervasivo, ma mancano ancora adeguate risorse per sostenere gli investimenti necessari e capacità per mettere a terra questa convinzione - afferma Alessandra Luksch, Direttore degli Osservatori Digital Transformation Academy e Startup Thinking –. Serve un cambio di passo, con leve concrete affinché imprese e startup possano creare valore per il Paese, di fronte alle sfide epocali che abbiamo di fronte: sono necessari investimenti, formazione inclusiva, consolidamento degli ecosistemi di innovazione. In un contesto di crescita moderata e grandi sfide strutturali, le imprese italiane devono accelerare la maturità della propria innovazione, passando da iniziative sperimentali a modelli capaci di generare impatti misurabili nel tempo”.

I ruoli dell’innovazione

Dal punto di vista di modelli e ruoli per gestire l’innovazione digitale nelle organizzazioni, emergono luci e ombre. Le grandi aziende percepiscono la rilevanza di definire una strategia di innovazione, ma ad oggi solo una su tre possiede in modo formalizzato, in modo da orientare le priorità, evitare la dispersione degli sforzi e mantenere coerenza con gli obiettivi di business. Ad ogni modo, le imprese si stanno sempre più strutturando: il 40% delle grandi imprese ha creato una “Direzione Innovazione”, quello che si afferma ormai come modello organizzativo prevalente, in grado di garantire presidio dedicato, visione complessiva di portafoglio e coordinamento trasversale.  Le imprese adottano diversi ruoli per favorire lo sviluppo e la gestione dell’innovazione. Più della metà ha formalizzato quello di Innovation Manager, ma si inizia a diffondere anche l’Open Innovation Manager.

In tutto questo, l’Intelligenza Artificiale si sta affermando come un vero motore dell’innovazione, in grado di aumentare velocità, creatività e qualità delle idee generate. Il 21% delle grandi aziende ha già realizzato linee guida strutturate, ma freni principali all’utilizzo derivano da una carenza di competenze specifiche (48%) e dalla difficoltà nel favorire un’adozione sicura e sistematica in azienda.

L’Open Innovation

La maggior parte delle grandi imprese italiane ha avviato iniziative di Open Innovation (86%), con una percentuale stabile negli ultimi anni. Lo sbilanciamento verso iniziative in bound rispetto a quelleoutboundsuggerisce come le aziende utilizzino principalmente l’Open Innovation come leva per assorbire conoscenza esterna, più che per valorizzare quella interna.

Sebbene il top management sia presente nei processi decisionali legati all’Open Innovation, solo in pochi casi nelle aziende ha un orientamento proattivo (20%). E la misurazione degli impatti dell’Open Innovation rimane limitata e frammentata (non oltre il 17% dei casi).

“Nonostante l’ampia diffusione tra le imprese, l’ecosistema italiano è ancora in una fase intermedia del percorso di Open Innovation che, dopo anni di sperimentazione, deve compiere un salto di qualità – precisa Stefano Mainetti, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Startup Thinking -. Le imprese devono integrare queste pratiche nella strategia complessiva di innovazione e di business, dotandosi di strumenti per misurare gli impatti in modo continuativo. Passare da iniziative frammentate a un approccio strutturato di Open Innovation può rappresentare la leva decisiva, per trasformarlo da attività accessoria a componente centrale dei percorsi di innovazione delle imprese italiane”.


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