Transizione energetica, Italia in ritardo di 10 anni sulle rinnovabili: come recuperare

Un mix bilanciato di tecnologie mature (rinnovabili, pompaggi) e low-carbon (nucleare, CCS) può abilitare benefici per 190 miliardi di euro entro il 2050, spiega uno studio di TEHA ed Edison

Autore: Redazione InnovationCity

L’Italia è in una fase cruciale della propria transizione energetica: mancano meno di 5 anni al traguardo del 2030 fissato dal Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC) e meno di un anno al completamento degli investimenti del PNRR.

In questo contesto emergono due esigenze prioritarie per il Paese. La prima è avere un quadro sistemico sullo stato della transizione energetica in Italia, un vero e proprio “health check” per valutare i progressi, misurare i gap rispetto agli obiettivi al 2030 e analizzare l’efficacia delle policy finora adottate.

La seconda esigenza è guardare al futuro, delineando un percorso al 2050 basato su un approccio sistemico alla transizione: una “roadmap” che preveda un mix bilanciato di tecnologie mature e scalabili (fotovoltaico, eolico onshore, batterie e pompaggi idroelettrici) e di soluzioni strategiche per la sicurezza energetica (nucleare, CCS, eolico offshore) in modo da ridurre il costo complessivo del sistema e dell'energia per il cliente finale.

Italia in linea sul 30% dei KPI ma in forte ritardo sulle rinnovabili

È quanto emerge dallo Studio “Lo stato della transizione energetica in Italia: principi e policy per garantire sicurezza e competitività”, realizzato da Edison e TEHA Group e presentato qualche giorno fa al Forum di Cernobbio organizzato da TEHA.

“I dati raccolti attraverso l’Energy Transition Indicator di TEHA ci forniscono un quadro chiaro: l’Italia è in linea con i target al 2030 nel 30% dei Key Performance Indicator considerati, con ritardi superiori a 10 anni in ambiti chiave come la generazione da fonti rinnovabili e lo sviluppo dei sistemi di accumulo”, spiega Valerio De Molli, Managing Partner e CEO di TEHA.

Questo significa che, proseguendo a questa velocità, non riusciremo a rispettare gli impegni assunti a livello nazionale ed europeo. È una sfida, continua De Molli, che non possiamo permetterci di sottovalutare, perché da essa dipende la stessa capacità del sistema-Paese di mantenere un ruolo competitivo nello scenario globale: “La transizione energetica è un percorso complesso e articolato che coinvolge dimensioni diverse e interconnesse – dalla generazione elettrica ai trasporti, dall’edilizia all’industria – e che richiede di essere governato con un approccio sistemico”.

Quattro punti per un approccio sistemico alla transizione

Per questa ragione, il report indica propone quattro principi guida per promuovere un approccio più coordinato e bilanciato alla transizione, e massimizzare le ricadute degli investimenti per il sistema-Paese: ritorni che lo Studio stima in circa 190 miliardi al 2050.

1) Lo sviluppo sinergico e bilanciato tra tecnologie mature e immediatamente scalabili - come fotovoltaico, eolico onshore, batterie e pompaggi idroelettrici - e soluzioni strategiche fondamentali per la sicurezza e l’indipendenza del sistema, quali nucleare, CCS e eolico offshore, con un mix che consenta di ridurre il costo complessivo dell’energia.

2) La valutazione del mix ottimale di tecnologie, da effettuare sulla base di criteri quali rapidità di dispiegamento, costo complessivo del sistema e dell'energia per il cliente finale, capacità di contribuire alla resilienza e sicurezza sistemica e di generare impatti economici e industriali per il Paese.

3) La formalizzazione di un meccanismo di monitoraggio annuale e aggiornamento triennale della roadmap, per garantire flessibilità e reattività rispetto all’evoluzione tecnologica, ai contesti di mercato e agli scenari geopolitici.

4) Il bilanciamento tra misure incentivanti lato offerta e lato domanda, affinché l’incentivazione alla produzione di energia decarbonizzata si accompagni a strumenti in grado di stimolare l’adozione di nuove tecnologie da parte di cittadini e imprese e l’attivazione di nuove filiere produttive collegate.

Rinnovabili, il ruolo fondamentale dei pompaggi idroelettrici

All’interno di questa cornice strategica, lo Studio affronta nel dettaglio il ruolo delle diverse tecnologie nel percorso della transizione. Lo sviluppo delle rinnovabili è una componente chiave della visione sistemica per il Paese, ma oggi è ostacolato da extra-costi sistemici legati a congestioni di rete, iter autorizzativi e disponibilità dei terreni che rendono i progetti “Ready to Build” fotovoltaici italiani di oltre il 20% più costosi rispetto alla media di Francia, Germania e Spagna.

Parallelamente, la crescita delle rinnovabili nel mix elettrico richiede lo sviluppo dei sistemi di accumulo di breve (batterie) e medio-lungo termine (pompaggi idroelettrici) secondo una logica sinergica e complementare per garantire la stabilità della rete e massimizzare i benefici per il Paese.

I nuovi pompaggi idroelettrici, sottolinea il report, sono una risorsa fondamentale per la sicurezza sistemica per diversi motivi: vita utile superiore a 50 anni, filiera nazionale consolidata, capacità di ridurre dipendenza da materiali critici e lock-in tecnologico da Paesi terzi e di promuovere una migliore gestione della risorsa idrica in regioni a rischio idrogeologico come quelle del Sud, aumentando la capacità di accumulo dei bacini esistenti.

Lo Studio stima in 13,6 GW la potenza di nuovi pompaggi installabile attraverso 56 nuovi impianti in aree già infrastrutturate o prossime a bacini esistenti. La valorizzazione di questo potenziale secondo i ricercatori di TEHA può generare un impatto economico complessivo di circa 110 miliardi di euro.

L'importanza delle tecnologie low-carbon: nucleare e CCS

Accanto alle rinnovabili e ai pompaggi, tecnologie mature e immediatamente scalabili, lo Studio sottolinea l’importanza delle tecnologie low-carbon strutturali, decisive per rafforzare l’indipendenza energetica e garantire la sicurezza del sistema: il nuovo nucleare e la Carbon Capture & Storage (CCS).

Il nuovo nucleare – fondato sui reattori di piccola taglia SMR e AMR – si configura come leva strategica per integrare le rinnovabili intermittenti con una produzione continua, programmabile e decarbonizzata. L’Italia può contare su un tessuto industriale competitivo con 70 aziende già operative nel settore per complessivi 556 milioni di euro di ricavi e circa 2.900 occupati.

La valorizzazione di tale tecnologia può generare entro il 2050 fino a 50 miliardi di euro (circa il 2,5% del PIL italiano) se sviluppato secondo una logica di collaborazione europea. Un aspetto chiave per valorizzare il contributo del nuovo nucleare è quindi la promozione di partnership a livello europeo basate sul co-sviluppo della tecnologia SMR ed AMR e sul co-investimento negli impianti del ciclo del combustibile, strategici per la sovranità energetica italiana ed europea.

Quanto alla CCS, il report la definisce come strumento essenziale per decarbonizzare i settori hard-to-abate e per mantenere l’operatività del parco termoelettrico. A livello internazionale gli impianti CCS sono quasi decuplicati in quattro anni, passando da 65 nel 2020 a 628 nel 2024, e diversi Paesi europei stanno già adottando programmi strutturati per integrarla nelle proprie strategie climatiche e industriali.

Mix bilanciato, possibili ritorni per 190 miliardi

Nel complesso, ribadiscono i ricercatori di Teha ed Edison, il dispiegamento della visione basata su un mix bilanciato di tecnologie mature e scalabili e soluzioni strategiche per la sicurezza energetica può abilitare al 2050 circa 190 miliardi di euro di ricadute attraverso la valorizzazione di nuovi pompaggi idroelettrici, nuovo nucleare e CCS, facilitando l’accesso a energia decarbonizzata e con un costo competitivo per l’industria.


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