E se l'alimentazione sostenibile fosse prima di tutto una questione di catene di approvvigionamento?

La modifica delle abitudini d'acquisto dei consumatori non è sufficiente per imporre un'alimentazione più sostenibile: il cambiamento dipende anche dalla capacità delle catene di approvvigionamento di trasformarsi.

Autore: Redazione InnovationCity



La modifica delle abitudini d'acquisto dei consumatori non è sufficiente per imporre un'alimentazione più sostenibile: il cambiamento dipende anche dalla capacità delle catene di approvvigionamento di trasformarsi. Eppure, un recente studio firmato da tre ricercatori, tra cui Philipp Sauer della NEOMA Business School (una delle principali Grande Ecole innovative in Francia), mostra che il processo è difficile: all'interno di queste catene, gli attori sono troppo distanti gli uni dagli altri per collaborare efficacemente.

Per analizzare come le catene di approvvigionamento (o supply chain) si appropriano delle sfide dello sviluppo sostenibile, i ricercatori hanno scelto un caso esemplare: il Brazilian Roundtable on Sustainability Livestock (BRSL). Questo organismo, creato nel 2009, riunisce tutti gli attori brasiliani della carne bovina: allevatori, macelli, industrie di trasformazione, distributori, rappresentanti dello Stato, ecc. È nato in risposta alle crescenti pressioni affinché il settore diventasse più “sostenibile”; in diversi Paesi erano stati lanciati movimenti di boicottaggio.

Intenzioni sincere, ma risultati deludenti

Il BRSL si è impegnato in numerosi progetti: combattere la corruzione, ridurre la deforestazione, evitare il degrado delle carni durante il trasporto, offrire condizioni di lavoro dignitose ai dipendenti, ecc. A partire dal 2014, i suoi membri hanno realizzato una guida pratica con obiettivi quantificati. Un'associazione non governativa lo descrive come l’istituzione brasiliana più credibile per promuovere un allevamento sostenibile. Le intenzioni sono dunque sincere. Ma i ricercatori, che hanno partecipato a sei riunioni di lavoro e condotto 18 interviste con attori del BRSL, constatano che i cambiamenti sono pochi. Certo, l’alimentazione sostenibile è oggetto di scambi e condivisione di informazioni. Ma concretamente, le evoluzioni tangibili sono limitate. Inoltre, molti allevatori restano ai margini del progetto collettivo, pur essendo loro a fornire il prodotto di base; senza di loro, rendere la filiera più virtuosa è impossibile.

Quattro tipi di distanza che ostacolano gli sforzi

Perché c'è un tale divario tra ambizione e risultati? Cosa “blocca” questa istituzione la cui ragion d’essere è la sostenibilità? La risposta dei ricercatori si riassume in poche parole: non c’è abbastanza prossimità tra gli attori del BRSL. Lo studio identifica quattro aspetti.

Primo, la geografia: il Brasile copre 8,5 milioni di km² (15 volte la Francia), con 4.400 km tra i suoi confini nord e sud più lontani. I membri del BRSL sono sparsi su questo immenso territorio, il che ostacola gli scambi, in particolare per i più piccoli della catena di approvvigionamento.

Secondo, la diversità delle organizzazioni: un modesto allevatore del Nordeste ha ben poco in comune con una multinazionale della carne che esporta in tutto il mondo.

Da qui deriva una terza disparità, di tipo culturale. Attori della catena di approvvigionamento così diversi non condividono gli stessi valori, né la stessa cultura, né la stessa visione di cosa significhi alimentazione sostenibile. Inoltre, i piccoli allevatori vivono e lavorano spesso in aree rurali, e i termini utilizzati nella guida pratica risultano per loro oscuri.

Infine, il BRSL non è un'entità omogenea e unita. Alcuni attori mantengono legami intensi e regolari, altri restano ai margini o completamente passivi. Non si coinvolgono né nella gestione dell'organismo né nei processi decisionali, fino a diventare invisibili agli occhi delle altre parti interessate.

Poca informazione, poca fiducia

  • Primo effetto: una mancanza di coesione all'interno del BRSL, anche tra attori che, peraltro, collaborano ogni giorno. Allevatori e macelli non si conoscono davvero, nonostante la loro relazione di fornitura. I piccoli allevatori non partecipano alle riunioni del BRSL: sono rappresentati dai grandi allevatori, molto diversi da loro, oppure dai loro sindacati. Alcuni attori sono talmente distanti tra loro tanto che uno di loro si interroga sulla pertinenza della parola “catena” quando si parla di “catena di approvvigionamento”.

  • Secondo effetto, che deriva dal primo: la mancanza di informazione. Essa circola in modo asimmetrico all’interno della catena di approvvigionamento, a seconda della qualità delle relazioni tra gli attori. Alcuni non ne ricevono affatto. Tuttavia, la transizione verso un’alimentazione sostenibile presupporrebbe una condivisione attiva e generalizzata di conoscenze e buone pratiche, oltre a una comprensione del contesto e delle sfide. Questo è il prerequisito per cambiamenti concreti sul campo, ma spesso manca.

  • Infine, gli autori osservano una mancanza di fiducia tra gli attori, in particolare tra allevatori e macelli. Il tema centrale della loro relazione resta l’aspra negoziazione dei prezzi. Per molti allevatori, la priorità è fare fronte comune contro questi “nemici”, non trasformarsi. Inoltre, questa sfiducia può ostacolare la comunicazione tra gli attori più coinvolti nella filiera e gli altri: anche se condividono con tutti le loro conoscenze sull’alimentazione sostenibile, rischiano di non essere creduti.

È importante coinvolgere gli Stati nelle catene di approvvigionamento

L’esistenza di filiere strutturate e impegnate non garantisce dunque l’emergere di un’alimentazione virtuosa. I loro attori devono condurre un’analisi approfondita per individuare i sintomi della mancanza di prossimità e porvi rimedio. La sfiducia tra gli attori, in particolare, richiede sforzi prolungati, sostenuti se necessario da associazioni e agenzie governative. Infine, gli autori incoraggiano gli Stati a coinvolgersi attivamente nel funzionamento delle catene di approvvigionamento: esigere maggiore sostenibilità tramite regolamentazioni non è sufficiente. All’interno del BRSL, ad esempio, potrebbero imporre e/o favorire una migliore rappresentanza degli allevatori, assicurarsi che l’informazione arrivi fino a loro e creino istanze di mediazione per un dialogo più fruttuoso.


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